Il lutto perinatale

Ci sono dolori silenziosi e prepotenti, dolori che si nascondono dietro a pudori infiniti, dolori che forse ancora non avevano un nome, altri che oltre ad un nome proprio, avevano già un’identità. Ci sono donne che sono state madri per breve tempo, magari per qualche settimana o qualche mese, donne che, dopo aver conosciuto il proprio bambino, lo hanno dovuto salutare per sempre. La vita e la morte sono due facce della stessa medaglia e non esiste maternità che non porti con sé la spaventevole ombra del timore del lutto; le stime ci dicono che oggi gli aborti spontanei si verificano tra il 15 e il 20% delle gravidanze, ma si arriva anche a percentuali del 30% se consideriamo il fatto che, molti aborti, vengono scambiarti per una mestruazione in ritardo.

Ci sono bambini invece che vengono alla luce e, dalla luce del mondo nuovamente si allontanano: per pochi istanti rimangono tra le braccia dei genitori e poi se ne vanno, a volte, nemmeno questo, nemmeno pochi istanti.

È sempre difficile parlare di morte, sempre, in qualunque contesto. Ma quando ci sono di mezzo pancioni, test di gravidanza e lacrime di gioia, corredini nuovi e camerette colorate, tutto si tinge di doloroso “nero”. Nero come il vuoto che resta, nero come un sordo silenzio, un tacito accordo relativo al “non parlarne”. La verità è che il lutto perinatale è qualcosa che lascia talmente tanto sgomento che è impossibile affrontare questo tema per chi non è addetto ai lavori. Spesso, anche frasi pronunciate con affetto e che hanno il desiderio di rassicurare la coppia o “spronarla” ad andare avanti, fanno sentire i genitori soli e incompresi; senza considerare che le coppie in quanto tali, spesso vengono disintegrate da questo drammatico evento e la solitudine di entrambi i genitori prende le sembianze di due strade che si separano.

Non è colpa di nessuno; non esistono parole giuste che plachino il cuore di una madre o di un padre rimasti “orfani” del proprio bambino, esistono solo percorsi, lunghi percorsi, per trovare la forza di rimanere aggrappati alla vita. A volte anche una semplice frase come “ma non pensate di fare un bambino?” può essere una lama che trafigge il cuore di una madre o di un padre che magari vivono una situazione di poliabortivita’, e così molte altre frasi. Nel mio percorso di terapeuta ho incontrato donne che sono riuscite con coraggio e con forza inaudita a intraprendere una nuova gravidanza dopo aver perso il proprio figlio anche durante il parto; donne che hanno dovuto interrompere la gravidanza in epoca gestazionale avanzata per problematiche organiche del feto/bambino, ho conosciuto donne che dopo aver attraversato ripetuti aborti, hanno vissuto nel terrore del sangue. Mentre le ricordo le abbraccio tutte con il pensiero!

Ricordiamoci sempre che dietro ad un bimbo che, per ragioni diverse, non arriverà più fra le braccia di mamma e papà, ci sono mesi di attesa, di progetti, di sogni, di ipotesi. C’è il desiderio di quel figlio, di quella gravidanza, di quella genitorialita’. A volte ci sono nonni che “aspettano” o fratellini che sono stati preparati con dolci fiabe e coinvolti nei preparativi per l’arrivo del bebè. Cosa vera detto loro? Tutto questo rende il lutto ancora più complicato; le aspettative, le domande, il dover spiegare…soprattutto quando non si ha la forza per esistere, perché il dolore e la sua elaborazione dovrebbero avere la priorità su tutto, ma il mondo non si ferma e per poter restare in piedi spesso si continua a camminare senza dare spazio e tempo alla disperazione; senza poter lasciar fluire il dolore dal cuore, dagli occhi e dalla propria casa, quella che era già stata riprogettata per accogliere una persona in più, l’elaborazione non può avvenire. L’amore e la solidità della coppia è certamente un “fattore predittivo positivo” per il superamento del lutto. La rete parentale e sociale è un altro fattore fondamentale, senza contare che, in primis, fanno la differenza le caratteristiche personali di mamma e papà rispetto alle risorse interne.

Un percorso terapeutico  in caso di lutto perinatale è sempre auspicabile; a volte, la persona, può avere l’impressione di aver superato  l’evento traumatico ma, nel profondo, può racchiudersi un nucleo problematico che si manifesta in altre forme non direttamente collegabili al trauma.

Può essere estremamente utile e lo consiglierei sempre, all’interno di un percorso di psicoterapia naturalmente, per le coppie che hanno vissuto questo tipo di esperienza, informarsi circa la tecnica E.M.D.R ideata proprio per il disturbo post traumatico da stress. Questo strumento permette l’elaborazione del trauma grazie alla stimolazione bilaterale degli emisferi cerebrali.

Scrivo queste righe da terapeuta e da madre, le scrivo dopo aver conosciuto il dolore della perdita attraverso gli occhi e i cuori di famiglie travolte dal lutto. I protagonisti del lutto perinatale sono certamente i piccoli angeli, ma di loro non possiamo occuparci se non con una candela ed una preghiera (per chi crede) o con un pensiero e un posto speciale nel cuore; ma possiamo occuparci di chi rimane qui, “a braccia vuote” di chi magari si sente disperato, solo, vuoto o colpevole, di chi si sente arrabbiato o finito. A tutte queste mamme e a tutti questi padri dobbiamo rivolgere il nostro sguardo, parlando loro con più attenzione senza sminuire il loro dolore: se “hanno già altri figli” non significa che soffriranno meno e se hanno subito una perdita “solo alla 6 settimana di gravidanza” stiamo sempre parlando del LORO piccolo bambino, desiderato, atteso, già ben presente nel cuore e anche rappresentato nella mente. La parola chiave è l’ASCOLTO. Nessuno pretende parole risolutive, i genitori dei bimbi mai nati sanno perfettamente  che nessuno potrà restituirgli il proprio bimbo, ma fare finta che quel bambino non sia mai esistito, per quei genitori, sarà come vederlo morire la seconda volta.

 

Dott.ssa Eleonora Lucchini

 

 

 

 

 

 

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